La Via di Santini

La Via di Santini

Sulle orme dell'architetto barocco

Italy
2021
La Via di Santini
Se non bastasse tutta la straordinaria meraviglia di uno stile unico e particolarissimo come il Barocco boemo, un po’ di sano “campanilismo” rende d’obbligo per gli italiani avventurarsi in Repubblica Ceca sulle orme della grande archistar attiva tra fine Seicento e inizio Settecento, il cui stesso nome tradisce chiare origini italiche. Ma attenzione: se il legame con il Belpaese, soprattutto in fatto di ispirazione, è indiscutibile e forte, una volta arrivati in Cechia i dettami del Barocco si sono fusi e trasformati in un movimento autoctono, che non ha eguali nel mondo. Anche e soprattutto grazie al genio e al talento di Giovanni Biagio Santini-Aichel.
C’è tanta scuola e un pizzico d’orgoglio italiani nel favoloso Barocco boemo. Un pretesto in più per visitare la Repubblica Ceca, a caccia dei capolavori di artisti che si ispirarono alla produzione italiana, non senza reinterpretarne i dettami secondo la propria tradizione e il proprio talento. Ne nacque una corrente unica, che riadattando materiali e motivi seppe tirare a lustro un’intera nazione, ridisegnandone il volto, ma anche l’anima.
Non è da trascurare infatti il retroscena storico e morale della diffusione dell’arte barocca in Cechia. Siamo nel XVII secolo: nel 1620 scoppia la battaglia sulla Montagna Bianca, che poi dilagherà nel resto d’Europa con il più celebre nome di Guerra dei Trent’Anni. Gli Asburgo impongono, anche con la violenza, al popolo ceco la ricattolicizzazione e, per garantirne la conversione, ricorrono alle minacce, ma anche ai Gesuiti. Questi, invitati in Cechia, portano con sé non solo il Verbo, ma anche l’arte già fiorente nel Belpaese: il Barocco appunto. Le sue espressioni sfarzose e ridondanti divengono quindi per gli Asburgo un ulteriore, subliminale strumento di convinzione nei confronti del popolo: i palazzi eleganti ricordano il loro potere, le chiese con il loro tripudio di stucchi, ori, spazi immensi, chiaroscuri, immagini di santi e martiri dai volti straziati –in netto e voluto contrasto con le chiese sobrie e austere dei protestanti- invitano a rivolgersi al Signore e affidarsi a lui.
Pilotata o meno, l’arte barocca trovò in Boemia terreno fertilissimo. Non solo i Gesuiti importarono materiale cui ispirarsi e favorirono i contatti (e contratti) con architetti italiani –molti dei quali, al contrario degli stagionali, si stabilirono in questa terra e diedero vita alla Congregazione Italiana a Praga-, ma molti artisti cechi si formarono proprio in Italia per poi esprimersi al meglio in patria, dove seppero dar vita a un Barocco sui generis, cosmopolita e contemporaneamente autoctono. Passarono le idee –lo sfarzo, la ridondanza- ma i materiali e i soggetti del Barocco italiano furono integrati con quelli locali: accanto al marmo, molto legno delle foreste; vicino all’iconografia italiana dei santi soprattutto i patroni della propria terra.
 
Tra i padri (e maggiori esponenti) del Barocco boemo, spicca per genialità uno in particolare: all’anagrafe Jan Blažej Santini-Aichel, agli annali semplicemente Santini. Semplicemente si fa per dire, perché il grande architetto (ma anche costruttore e pittore) ceco a cavallo tra XVII e XVIII secolo è noto nel mondo come fondatore di uno stile nuovo, unico, tutt’altro che disadorno ma mai eccessivo. Il gotico-barocco di Santini trabocca sobria bellezza, che va ben oltre la facciata, in tutti i sensi. Nei suoi capolavori, si rintracciano simboli e allusioni nascoste.  
 
Santini nasce (nel 1677, da una famiglia di mastri scalpellini) e muore (nel 1723) a Praga, ma è nell’intero Paese che lascia la sua firma, destinata a fama mondiale, con capolavori architettonici che fondono gotico e barocco in uno stile unico di elegante abbondanza. Le origini italiane dell’architetto ceco vanno fatte risalire al nonno Antonin Aichel, che si trasferì in Boemia nel 1630, pare dal Trentino, e lavorò con il famoso Carlo Lurago, architetto dei Gesuiti e progettista della Chiesa di Sant’Ignazio, nella Città Nuova di Praga. Jan Blazej, meglio noto con il nome di Giovanni, mostra subito -con evidente ispirazione al Borromini- una predilezione per le forme stellari e per le simbologie complesse, che saranno il suo “marchio di fabbrica”, alla base del fascino non solo estetico, ma anche misterioso delle sue opere. Da genio anticonformista quale era (per i suoi colleghi addirittura “visionario”), non solo rivoluzionò i concetti classici del Barocco, ma diede vita a una corrente unica, solo sua, destinata a rimanere inimitabile e inimitata. L’unicità della sua produzione ha portato a includerlo tra i più grandi rappresentanti del Barocco non solo ceco, ma europeo. D’altro canto, quel suo stile esclusivo è il frutto del suo “assetato” peregrinare per l’Europa, in particolare in Austria prima e a Roma poi. La sua cifra stilistica è risultato sì di talento e curiosità verso l’opera altrui, ma anche di approfonditi studi, in particolare in matematica, geometria e, sua grande passione, numerologia. Rientrato in patria definitivamente nel 1699, già circondato da una certa fama, fonda una propria impresa con il fratello: commissioni importanti e sicurezza economica non tardano ad arrivare. La fortuna gli è invece avversa sul piano familiare: sua moglie (Veronika Alzbeta, figlia del suo maestro di pittura) e tre dei loro quattro figli muoiono. Le seconde nozze, con la nobile Antonie Ignatie Chrapicka, gli portano non solo altri figli, ma ulteriore prestigio e, di conseguenza, sempre nuove commissioni. Santini studia, sperimenta, inventa e soprattutto ci mette tutto se stesso, con ispirazioni ma anche competenze, perché quelle che firma sono opere sue al 100%: le immagina, le disegna e partecipa anche alla realizzazione, in quanto membro di una corporazione di costruttori.
Ecco alcune tra le sue opere più significative e prestigiose, da rintracciare in tutta la Repubblica Ceca.
 

La firma di Santini a Praga

Santini ha “autografato” diversi monumenti nella capitale, alcuni dei quali purtroppo andati perduti. A partire dal palazzo della Famiglia Lissau, che si affacciava sulla piazza della Città Vecchia, nel quartiere dove l’architetto nacque, lavorò e infine morì. Quello alla ricostruzione e ampliamento del palazzo del Conte di Lissau, ciambellano imperiale e governatore della Città Vecchia, fu uno dei primi lavori di Santini, databile solo vagamente dopo l’anno 1700. Demolito nel 1896, se ne ha testimonianza solo in alcune foto di fine Ottocento. Alle prime armi, Santini sembra aver qui accolto le influenze viennesi importate a Praga all’epoca da Giovanni Battista Aliprandi, con cui condivideva il mestiere e le origini italiane, ma dà già prova della sua personalissima interpretazione di stili e materiali.

Nel parco dell’abbazia benedettina di Panenske Brezany, si può invece ancora ammirare una delle primissime opere di Santini, dove il suo genio –nemmeno troppo acerbo- è già dirompente. Costruita tra il 1705 e il 1707, la minuscola cappella di Sant’Anna è perfetto esempio di quella che Santini definiva “architettura virtuosa”, che sposa elementi civili ed ecclesiastici. E’ il primo esempio di edificio a raggiera realizzato dall’architetto, futura star. Si tratta di un progetto complesso, in cui esterno e interno si compenetrano in un coesistere di stratagemmi strutturali, architettonici e decorativi, dove la luce, che irrompe dalla cupola finestrata per giocare con linee e spazi, è assoluta regina. Nelle evidenti geometrie dell’edificio si rintraccia già la passione di Santini per la numerologia (il triangolo per la Trinità, il pentagono per le cinque piaghe di Cristo ecc.)

L’impianto originario della chiesa di San Francesco d’Assisi si deve al pittore di corte dei Wallenstein (committenti del monumento), Mathey, incaricato di un disegno, quello architettonico, cui non era certo avvezzo, cui si dedicò però con zelo e con cognizione dello stile romanico. Si apprezza l’interazione tra il progetto di Mathey, appunto, e gli interventi di Santini. Gli archivi fanno presumere che Mathey facesse allora da mentore a Santini, il quale non era abilitato a progettare l’edificio e profuse invece il suo talento a livello pittorico. D’altro canto, anche in Italia molti eccellenti esponenti del Barocco provenivano dalla scultura, dalla pittura, dallo stucco ecc. Dell’amato simbolismo di Santini si ha qui –dove ricorre il tema della croce- già ampia traccia.

Il tocco di Santini e la sua capacità di vincere le sfide strutturali si rintracciano anche nelle facciate di Palazzo Morzin, oggi sede dell’ambasciata rumena, in via Nerudova. L’edificio così come appare ai giorni nostri nasce tra il 1713 e il 1714, dalla non facile unificazione di quattro pre-esistenti abitazioni borghesi. A tentare di ostacolare, senza successo, il lavoro di Santini alla maestosa facciata furono le dimensioni anguste del vicolo e il suo andamento irregolare, cui il genio rimediò con un uso sapiente di contrafforti, linee curve, colonne concave, ali laterali, statue e decori.

Sul lato opposto della stessa via, ecco anche Palazzo Kolovrat, sede invece dell’ambasciata italiana. Progettato da Santini presumibilmente nel 1706, l’edificio ha conosciuto storia ben più antica e ospitato diverse casate. E’ solo sotto i Kolovrart, però, che prende vita il progetto –inizialmente affidato all’italiano Domenico Martinelli, che lavorava a Vienna- di raddoppiarne il volume, restaurarlo e spostare su via Nerudova la facciata principale. Cuore di quest’ultima è un maestoso portale che, grazie alla generosità stilistica di Santini, forma un tutt’uno con l’ampia finestra centrale del primo piano, in un tripudio di statue, fregi, stemmi, rosoni e simbolismi. Tutte le aperture della facciata sono comunque volutamente grandi, importanti, originalissime nelle cornici e nei sopra-finestra.

In questo fervido quartiere, nella stessa stretta ma vivace via Nerudova, Santini trova modo di applicare il proprio talento anche all’architettura religiosa, che tanto lo avrebbe impegnato e stimolato durante tutta la sua carriera. L’ordine minore dei Teatini, che qui aveva la sua unica sede in terra ceca, aspirava da tempo a esibire un luogo di culto che ben lo rappresentasse. Il monaco Guarino Guarini, geniale matematico e abile architetto a Torino, aveva disegnato un primo progetto già nel 1679. Quando però si arrivò infine ad aprire il cantiere, nel 1691, il suo fu soppiantato da un altro disegno, forse a firma di quel Mathey già citato in relazione alla Chiesa di San Francesco d’Assisi. La costruzione della Chiesa di Nostra Signora della Divina Provvidenza subì però rallentamenti e fu infine interrotta, per essere ripresa non prima del 1711. Nel frattempo, già nel 1703, il nostro Santini aveva già messo mano al progetto, apportando il suo inconfondibile tocco principalmente negli interni, dove si traduce in un’armonia di volte, archi, angoli smussati, colonne, cornici, fregi, cordoli e bassorilievi. Quanto alla facciata, si occupò “solo” del sistema di finestre e del portale.

La vittoria cattolica del 1620 nella battaglia sulla Montagna Bianca fu dedicata alla Vergine Maria e si decise di renderle grazie con un sito sacro, che divenisse meta di pellegrinaggio. Fu solo nel 1712, però, che la cappella votiva originaria venne trasformata in una piccola chiesa, che nel progetto doveva essere poi circondata di chiostri e altre cappelle. Una volta costruite le mura esterne, però, la chiesetta centrale apparve subito sottodimensionata e si procedette a erigere al suo posto un santuario all’altezza del complesso. Il progetto per l’intero sito fu affidato proprio a Santini, che dimostrò ancora una volta la sua maestria nell’armonizzare, integrare e reinterpretare edifici inizialmente separati e autonomi.
 
La vita di Santini fu breve, ma decisamente intensa. La sua sete di conoscenza, la propensione per le sfide, il suo animo in continuo fermento e la fama arrivata già in giovane età lo portarono a non fermarsi mai. Richiesto ovunque, si cimentò con passione e con successo in progetti sempre nuovi e diversi, che lo portarono a lasciare tracce indelebili di sé e del proprio talento praticamente in ogni lembo delle terre ceche.
 

San Giovanni Nepomuceno (Moravia, al confine con la Boemia)

Tutti i pellegrinaggi sono protetti da una buona stella, ma se la meta è il santuario settecentesco di San Giovanni Nepomuceno (patrono di Boemia), nei pressi di Zdar nad Sazavou, la stella è anche l’elemento architettonico predominante. Questo monumento sacro, capolavoro assoluto di Santini che qui rielabora i dettami del gotico e del barocco persino negli arredi, dal 1994 è inserito nella Lista Unesco del Patrimonio Mondiale dell’Umanità. Qui più che altrove si legge la passione di Giovanni Biagio Santini per i numeri e per il loro significato iconografico. Quello scelto per questo maestoso santuario è il cinque, simbolo di vita ed esperienza umana. Il numero ricorre ovunque: la chiesa ha la forma di una stella a cinque punte, presenta cinque porte e cinque cappelle con altrettanti altari. E non mancano nemmeno i multipli: è circondata da porticati, voluti per proteggere dal maltempo il cammino dei pellegrini, a forma di stella a dieci punte. Ne risulta, tra l’altro, uno straordinario gioco di luci e ombre. Accanto al 5 anche citazioni del 3 (Trinità) e del 6 (Santa Maria, cui Nepomuceno era devoto). Anche a livello spaziale e geometrico, ricorrono ovunque l’ovale e il cerchio (nei suoi disegni Santini affidava la propria creatività in gran parte al compasso).
La storia della città di Zdar nad Sazavou, a 120 km da Praga, è profondamente legata all’ordine dei monaci cistercensi, che qui avevano fondato un importante monastero, dismesso soltanto nel 1784. Proprio all’abate superiore del convento, Vejmluva, si deve la costruzione del santuario-gioiello in cima alla collina verde (Zelena Hora).
 

Zdar nad Sazavou (Moravia, al confine con la Boemia)

Il complesso monastico, a cui lavorò sempre Santini, è ancora lì, a pochi metri dal santuario, con tanto di fattoria, stalla e cimitero annessi. Fondato nel 1252, all’arrivo del primo monaco, presentava tutte le caratteristiche classiche delle architetture adottate dall’austero ordine di San Bernardo. Agli albori del XVIII secolo però l’abate Vejmluva, dopo aver risanato la situazione economica del convento, decide di far non solo restaurare, ma rimaneggiare completamente l’abbazia, intitolata a Maria Assunta.  Il progetto nel 1706 viene affidato a Santini che, partendo dal transetto con altare originale in stile gotico, si sbizzarrisce con tutti gli elementi a lui cari, che vanno a rendere grandioso ogni spazio: dalle navate alla tribuna dell’organo. Santini disegna anche un piccolo cimitero, destinato alle vittime di eventuali epidemie, nella foggia simbolica di un teschio umano, con tre cappelle. All’architetto fu affidato anche il compito di costruire un sobrio edificio destinato a ospitare un’accademia per nobili, senza con questo trascurare gli annessi rurali del monastero: foresteria, fattoria e stalle, dalla solenne semplicità ma irrinunciabile originalità. La fattoria, in particolare, è stata concepita a forma di lira. Oggi il complesso ospita il Museo interattivo delle nuove generazioni, che accompagna attraverso la storia del luogo e organizza in particolare visite guidate alle opere di Santini nel territorio.
 

Sedlec presso Kutná Hora (Boemia orientale)

Non lontano da Kutná Hora, si trovano due importanti edifici barocchi. Il primo è la chiesa conventuale dell’Assunzione della Vergine Maria e di San Giovanni Battista, che –in perfetto stile Santini- fonde armoniosamente gotico e barocco. L’edificio originale in stile gotico –la seconda chiesa ceca per grandezza- era ridotto in rovina (a opera delle truppe hussite) già da oltre due secoli quando, a inizio Settecento, fu chiesto proprio a Santini –appena venticinquenne, ma già molto apprezzato e richiesto dai mecenati- di ricostruirlo. Con al proprio fianco anche il fratello Frantisek Jakub, abile scalpellino, Santini si scatena giocando con ampie vetrate, archi e pareti, altezze e profondità, statue e decori, luci e ombre, ma anche con elementi singolari. Come l’incredibile e sinuosa scala a chiocciola autoportante, una vera e propria attrazione a sé nel contesto del già straordinario edificio, incluso a gran diritto nella Lista del Patrimonio Mondiale dall’Unesco.

 
Chiesa della Natività di Maria Vergine a Zeliv (Boemia orientale)

Altra chiesa conventuale a portare il segno della ristrutturazione (e reinterpretazione architettonica) di Santini è quella di Zeliv. Intitolata alla Natività della Vergine Maria, ha subito nei secoli diversi rimaneggiamenti, ma solo la mano di Santini l’ha portata alla maestosità di oggi. In origine romanica, la basilica sul finire del XIV secolo fu ricostruita in stile gotico, ma venne poi distrutta da un devastante incendio, nel 1712. Per l’archistar del Barocco boemo, la cui fama era ulteriormente accresciuta dopo l’intervento a Sedlec, questa fu una sfida tutta diversa: qui si trattava di costruire un favoloso edificio ex novo. Ne risulta l’ennesimo capolavoro, ultimato nel 1720: la navata centrale (affiancata da altre due laterali con l’insolita divisione di arcate ora poggiate su colonne, ora sospese nel vuoto) si protende nella facciata con un elegante vestibolo cui fanno da sentinella due alte torri campanarie, quasi a proteggere il portale.   
 

Castello di Karlova Koruna a Chlumec nad Cidlinou (Boemia orientale)

Instancabile, inarrestabile, Santini subito dopo –tra il 1721 e il 1723- si dedica alla progettazione e costruzione di un edificio privato: la villa del primo ministro del regno, il conte Frantisek Ferdinand Kinsky, cui furono destinate le forme e le geometrie di un monumentale padiglione di caccia, in omaggio alla passione del committente –capocaccia imperiale- per quella al cervo. Appena terminata, la dimora nobiliare accolse l’imperatore Carlo VI e da allora fu chiamata castello di Karlova Koruna, in suo onore ma anche a sottolineare l’insolito impianto dell’edificio, a forma appunto di corona. Neanche a dirlo, l’edificio –che ad alcuni rievoca il castello dell’omonimo, celebre romanzo di Franz Kafka- presenta una pianta insolita e rivoluzionaria: dal corpo centrale cilindrico a due piani si protendono come raggi tre corpi esterni quadrati, a un solo piano. Esterni e interni sono pensati e suddivisi con rigoroso metodo matematico, proporzionale e simmetrico, come tanto piace a Santini. Che qui, come già in opere altrettanto monumentali ma di edilizia religiosa dove ricorre la pianta che si irradia da un corpo centrale cilindrico, dà sfogo a tutta l’esperienza fatta in Italia in tema di Barocco e tradisce la sua ammirazione per Bernini in particolare.
 

Abbazia del monastero benedettino di Rajhrad (Moravia meridionale)

Altro monastero (il più antico di Moravia), altra performance. Siamo nei dintorni di Brno, a Rajhrad, tra il 1721 e il 1730. Santini, insieme ad altri autorevoli esponenti del Barocco boemo, viene chiamato a dare sfarzo alle forme spoglie dell’abbazia intitolata ai santi Pietro e Paolo, costruita nel 1048 in stile romanico. Nel progetto, che lo vedrà impegnato anche con il convento e le masserie, l’architetto risolve tra l’altro il problema delle infiltrazioni d’acqua dal terreno acquitrinoso, ricorrendo a fondamenta palafitticole, ovvero con un ingegnoso sistema di pali e griglie in legno di quercia su cui poggia il pavimento, così come già sperimentato nel monastero cistercense di Plasy, in Boemia. Santini, che non si limita a disegnare il progetto, ma supervisiona con costanza i lavori, apporta la sua cifra stilistica anche agli interni, giocando come sempre con gli spazi e la luce. La suddivisione è in tre celle, ognuna dall’impronta estetica diversa, attraverso le quali un imponente rincorrersi di arcate conduce dritto all’altare. Della struttura precedente, Santini e colleghi mantengono le due torri del 1691, che però necessiteranno in seguito di contrafforti per la messa in sicurezza. D’altro canto, in tempi più recenti, l’intero monastero necessiterà di restauro, quando l’ordine benedettino, sul finire del millennio, ne tornerà in possesso dopo che il regime comunista aveva internato i monaci e confiscato l’area.
 

Santuario della Vergine Maria a Krtiny (Moravia meridionale)

Sempre nei pressi di Brno, nel bellissimo Carso moravo, ecco uno dei santuari più antichi della Regione, che la leggenda vuole legato alle figure dei Santi Cirillo e Metodio, cui si deve l’arrivo del cristianesimo in Boemia e Moravia, che proprio in questa valle si dice battezzassero i pagani. La tradizione parla anche di un’apparizione della madonna, nel 1210. Sta di fatto che, nel 1718, l’abate del monastero di Zabrdovice decise di trasformare il già monumentale edificio medievale in un capolavoro dallo sfarzo barocco. Chi meglio di Santini per una simile, ambiziosa impresa? Talmente ambiziosa che, nonostante la precisione del progetto e la passione profusa nel suo sviluppo, l’archistar non riuscì a portarla a termine e il suo ennesimo capolavoro –che sarebbe diventato il gioiello assoluto del Barocco in Moravia- fu ultimato soltanto nel 1750, ben dopo la sua morte e non senza compromessi, imposti da ragioni soprattutto economiche. Il corpo centrale è a croce greca, ma inserita in uno schema di cerchi concentrici e sormontata da una cupola maestosa. Anche qui, in stile Santini, viene permesso alla luce esterna di penetrare e giocare con le curve e le forme barocche che plasmano gli interni. E l’interazione con la luce naturale non è l’unico esempio di perfetta integrazione del complesso –che include anche elementi non presenti nel progetto di Santini- nel paesaggio che lo accoglie. Il santuario, oltre a essere esso stesso un vero gioiello, è anche scrigno di altre gemme: i gioielli della Corona, la statua gotica della Vergine Maria (chiamata “baluardo della Moravia”), un singolare carillon di campane e un tripudio di affreschi, fregi e statue per la cui realizzazione furono chiamati grandi artisti non solo cechi.

 
Chiesa di San Venceslao a Zvole (in Vysocina, al confine tra Boemia e Moravia)

All’inizio del XVIII secolo, l’edificio originario medievale della parrocchiale di San Venceslao, in stile gotico, versava praticamente in rovina. Pur circondato da fama e abituato a grandi sfide, Santini non disdegnava di mettere il proprio genio al servizio anche di progetti più modesti. Il suo contributo alla ristrutturazione e ricostruzione della chiesa di Zvole –insieme ad altri suoi interventi a livello locale, per esempio a Horni Bobrova, Obyctov e Zdar - ne è conferma. L’arte per l’arte, il Bello per il Bello. Punto. Arte e Bello a San Venceslao prendono le forme fastose di una chiesa barocca, che dispiega tutta la sua eleganza su un impianto a croce greca, impreziosita però dal riproporsi continuo e morbido di linee circolari, secondo un rigoroso schema geometrico, proprio come tanto piace a Santini. L’ala orientale con il presbiterio è allungata, a chiudersi con due torri dalla pianta a forma di prisma. Non mancano nemmeno gli amati simbolismi: tra tutti, la lanterna a forma di corona che domina il soffitto e richiama l’iconografia di San Venceslao, santo patrono di Praga, della Boemia e di tutta la Repubblica Ceca, rappresentato con il nobile copricapo, cui si ispira ed è intitolata anche la stessa corona imperiale.
 

Chiesa dei Santi Pietro e Paolo a Horni Bobrova (in Vysocina, al confine tra Boemia e Moravia)

Ancora una volta, come già in altri casi qui citati, il committente di Santini è Vejmluva, abate del monastero di Zdar nad Sazavou. Nel XVIII secolo, le modeste dimensioni della chiesa parrocchiale di origine medievale non sono infatti più adeguate a officiare messa. L’architetto nel 1714 la ridisegna e nel 1722 l’edificio è già pronto per la consacrazione, che avviene il 5 ottobre, in contemporanea con quella del monumentale santuario di San Nepomuceno, capolavoro assoluto di Santini, che svetta da poco sulla non lontana collina di Zelena Hora. Dell’impianto originario della chiesa tardoromanica intitolata a San Pietro e San Paolo, Santini salva solo la navata principale, trasformandola però in un presbiterio con altare. Cambia completamente l’orientamento dell’edificio, cui aggiunge una nuova navata a Oriente. Tutto lo spirito barocco della rinnovata chiesa si fonde nel favoloso portale, dalle chiare influenze italiane e del Borromini in particolare, incastonato nella tipica facciata curva alla Santini.
 

Chiesa della Visitazione della Beata Vergine Maria a Obyctov (in Vysocina, al confine tra Boemia e Moravia)

L’accoppiata vincente Vejmluva-Santini produce in Moravia anche un capolavoro ex-novo: la chiesa della Visitazione della Beata Vergine Maria a Obyctov, sempre nei paraggi di Zdar nad Sazavou. Commissionato appunto nel XVIII secolo (Santini lavora al solo progetto fino al 1723, ma i lavori si protraggono, in più fasi, fino al 1734), il nuovo santuario, meta di pellegrinaggio, presenta un impianto particolarmente insolito: a forma di tartaruga. Come sempre nelle opere di Santini, la scelta non è casuale, ma fortemente simbolica. La testuggine rappresenta la costanza della fede, ma l’impiego della sua forma in un impianto architettonico è cosa assai rara. In origine –e negli intenti di Santini- la forma della navata principale ricordava in modo inequivocabile il corpo di una tartaruga: angoli smussati per il corpo centrale che rappresenta il guscio, quattro cappelle laterali quadrate per le zampe, un presbiterio poco profondo e dagli angoli orientali tagliati per il collo, la sagrestia per la testa e una cappella con vestibolo per la coda. L’immediatezza dell’immagine nei secoli si è un po’ persa a causa dei vari rimaneggiamenti all’edificio. Gli interni, insolitamente minimalisti nei decori per i dettami barocchi, offrono una perfetta cornice ai giochi di Santini con la luce.
 

Convento del monastero cistercense di Plasy (Boemia occidentale)

La cittadina-gioiello di Plasy, pochi chilometri a Nord di Pilsen, si distende tutt’attorno all’omonimo, splendido convento, fondato su terreno bonificato ma pur sempre acquitrinoso dai monaci a metà del XII secolo. Come già altri luoghi sacri del territorio, fu bruciato per mano degli hussiti, per poi essere restaurato e rimaneggiato sul finire del ‘600. Nei primi anni del secolo successivo, a convocare Santini è l’abate Tyttl. Il progetto di ricostruzione del complesso monastico è pronto, e subito approvato, nel 1710. Il disegno, che comprende anche una monumentale abbazia in realtà poi mai realizzata, rispetta –come richiesto dal committente- la tradizionale natura del monastero costruito in riva al fiume Strela. Per rimediare alla precarietà del terreno paludoso, senza stravolgere il concetto originario, Santini ingegnosamente ricorre alla posa di 5.100 pilastri di legno di quercia (a mo’ di palafitta), conficcati in una piscina barocca irrorata costantemente, così da garantire l’equilibrio ed evitare il deteriorarsi della struttura portante. Questo escamotage, davvero originale per l’epoca, continua a destare stupore e ammirazione anche ai giorni nostri. All’interno, ampie e sinuose scalinate interne realizzate da Santini sembrano fluttuare sopra il pavimento; proprio come la straordinaria scala a spirale, che si avvolge su se stessa, senza alcun apparente sostegno. L’intero complesso monastico, davvero imponente, è ricco di sorprese: dai granai barocchi con tanto di torre dell’orologio ai sotterranei, dal mulino all’antico birrificio, dalla corte agricola con le botteghe artigiane alla residenza dei prelati.

 
Monastero di Marianska Tynice (Boemia occidentale)

Il meraviglioso complesso monastico di Marianska Tynice, che include la prevostura cistercense e, soprattutto, il santuario dell’Annunziata, si trova nell’omonimo villaggio nei pressi di Kralovice, nella Regione di Pilsen. Un primo cenno al progetto di Santini che avrebbe trasformato l’originaria chiesetta votiva e il terreno circostante, donato ai cistercensi del monastero di Plasy a cavallo tra il 1100 e il 1200, e che avrebbe risollevato il sito dai danni arrecati dall’accanimento hussita nel XVII secolo, è datato 1710. Alcune fonti parlano dell’apporto anche di Dientzenhofer al disegno originario. La costruzione comunque andò a rilento e quando il committente, lo stesso abate Tyttl del convento di Plasy, morì, solo il corpo occidentale del monastero era pronto, oltre alle mura perimetrali. L’impianto della chiesa, a croce greca –il cui asse è orientato a Sud-Est, in direzione di Plasy- risponde, così come il resto dell’edificio, a rigide regole geometriche e simmetriche, coerentemente con lo stile caratteristico di Santini. La chiesa fu infine consacrata nel 1762, ma 22 anni dopo avvenne la separazione tra Stato e Chiesa e, a partire da quel momento, l’area del monastero cadde in abbandono per lunghi 150 anni. Fu solo a partire dal 1920 che si corse ai ripari, fornendo l’edificio scoperchiato e danneggiato di un tetto provvisorio e procedendo poi a un sistematico, impegnativo restauro.

 
Cappella della Vergine Maria, a Mladotice (Boemia occidentale)

Prima di ogni altro incarico, però, Tyttl, sempre nel primo decennio del Settecento, commissiona a Santini la costruzione ex novo della Cappella della Vergine Maria a Mladotice, piccolo centro non lontano da Karlovice, con il preciso scopo di testarne le decantate capacità. L’edificio doveva essere di piccole dimensioni, ma la sua costruzione –sulle rive di uno stagno- presentava la stessa sfida del terreno acquitrinoso che l’architetto dovrà poi affrontare a Plasy. La prova non intimorisce Santini, che vi infonde tutto il suo talento e il suo virtuosismo. Siamo nel 1708 e il genio del nuovo Barocco ricorre subito ai suoi simbolismi, alle elucubrazioni geometriche e a quella forma a stella che tanto gli è cara e che applicherà, subliminandola, nel suo santuario-capolavoro di Zelena Hora. Il corpo centrale della cappella è un esagono dalle pareti curve e concave –preludio alla stella (questa volta a 6 punte) che ricorrerà in molte opere di Santini- sormontato da una cupola cosiddetta all’italiana. Il motivo della stella ricorre, esplicito o subliminale, anche negli interni (a partire dalla volta), accentuato dalla maestria già evidente di Santini nel giocare con la luce naturale, catturata da finestre sapientemente distribuite nel perimetro del piccolo edificio, ultimato in due anni. 
 

Chiesa conventuale dell’Assunta, a Kladruby (Boemia occidentale)

Maurus Finzguth, abate del monastero di Kladruby, nel 1710 lancia a Santini, reduce dal rifacimento del monastero di Plasy in uno stile barocco radicale, una sfida nuova, diversa da tutte le altre. Del suo complesso monastico benedettino fa infatti parte anche la monumentale basilica tardoromanica, completata nel 1233 ma destinata a sorti avverse. Abbandonata in semi-rovina –senza più né tetto né arcate- dopo esser stata presa d’assalto e data alle fiamme dagli hussiti, in epoca rinascimentale viene di nuovo consacrata, ma il troppo peso scaricato esclusivamente sulle pareti perimetrali provoca nuovi crolli. Finzguth decide di rimediare, restituendo una volta per tutte gloria, splendore e solidità a quel luogo solenne. Per la ricostruzione, piuttosto impegnativa, desidera il massimo e decide di non accontentarsi. Ecco allora, all’opera uno accanto all’altro, due geni dell’architettura dell’epoca: Giovanni Santini e Christopher Dientzenhofer. Il 1711 segna l’inizio di un’impresa mastodontica, che si protrae fino al 1726 e consiste di diverse fasi. Prima: ricostruzione delle tre navate e del transetto. Seconda: costruzione della cupola monumentale, concepita come una grande corona sospesa sopra la navata centrale. Terza: in contemporanea con i lavori agli esterni, l’attenzione si concentra sulla facciata a Ovest. A Santini in particolare si devono il sistema di aperture ad arco acuto, la ricostruzione dell’abside con pianta a trifoglio, la monumentale cupola con lucernari e le volte stellari. Compaiono diversi riferimenti alla Vergine Maria, prima fra tutti una statua posta nel timpano sopra l’ingresso, a citazione delle tradizioni romaniche e gotiche della chiesa originaria. A questo proposito, va specificato che Santini di questa conservò tutto il possibile, limitandosi a sostituire le pareti danneggiate o crollate. In quest’opera Santini dimostra più che mai la sua straordinaria capacità di preservare e reinventare, di armonizzare il minimalismo romanico con la ridondanza barocca e gotica, l’estetica con la spiritualità.
 
 

Ultimi ma non ultimi

Meno noti, ma non meno significativi, gli interventi di Santini in due altri progetti. Insieme a Dientzenhofer e Reiner, firma il disegno della versione più recente, ovviamente barocca, del monastero di cistercense di Zbraslav, a Sud di Praga, costruito sul finire del XIII secolo in riva alla Moldava, in luogo di un pre-esistente casino reale di caccia. Bruciato e distrutto, fu ricostruito tra il XV e XVI secolo e conobbe in seguito un vero e proprio Rinascimento, in tutti i sensi, prima di soccombere però ad altre guerre, altre distruzioni. Riportato allo splendore da Santini e colleghi, passò poi allo Stato e infine ai privati. Più simile per fattezze a un castello gentilizio, oggi non è purtroppo visitabile.
Santini siglò anche il progetto del castello di Kalec, allora piccolo villaggio medievale (oggi non più esistente) del distretto di Pilsen, teatro di numerosi e significativi eventi della storia boema, anche della più recente. La sua annessione al monastero di Plasy fu motivo di violente e ripetute dispute feudali e durante la guerra sulla Montagna Bianca il centro fu costantemente sotto minaccia. Tra il 1710 e il 1716, il “solito” abate Tyttl concesse infine, in pegno per la confisca dei terreni, la costruzione di un imponente edificio civile nobiliare (non privo però di una cappella, dedicata a Santa Margherita) in stile barocco. L’incarico fu affidato proprio a Santini. Il castello è oggi monumento nazionale, ben inserito in un paesaggio culturale a forte impronta agraria.